“E’ grazie alla mia famiglia se sono diventato Gianluca Zambrotta”



“Mi hanno sempre lasciato tranquillo e libero di fare le mie scelte”.

Gianluca Zambrotta, campione del Mondo 2006, ex pilastro di Juventus e Milan, racconta in esclusiva per la Scuola Genitori Sportivi il suo rapporto con papà Alberto e mamma Luisella, legato al suo percorso sportivo. Dal campetto sotto casa al tetto del mondo. Dai gol in oratorio alle sgroppate alla Scala del calcio.

Quando, come e perchè hai cominciato a rincorrere un pallone?
Ho iniziato nell’Us Alebbio, a Rebbio, nel Comasco. Andavo lì a fare catechismo, in oratorio, e a 9 anni mi sono iscritto a calcio con i miei amici. E’ stata una mia richiesta. Il campo era a un chilometro da casa. Mi sono divertito per tre anni.

Chi ti seguiva in quei primi anni?
Soprattutto papà. A volte anche mia mamma. A volte anche mio nonno, che aveva fatto il portiere. Le prime partite, i primi tornei: tutto molto tranquillo.

Poi, arriva un treno importante….

Un osservatore del Como mi cerca. I miei mi raccontano questa novità. Io all’inizio non volevo andarci. Avevo il campo vicino casa, i miei amici, non desideravo altro. Per allenarsi al Como bisognava fare 20-25 minuti di strada.

Cosa ti fa cambiare idea?
Avevo 11-12 anni. I miei mi hanno aiutato a capire che era una opportunità importante. Il Como era famoso per il suo settore giovanile, c’era il compianto Mino Favini. Mi hanno chiesto se volevo migliorare e crescere. Mi hanno aiutato a comprendere quale potesse essere la strada migliore, senza impormela. Mi hanno dato i consigli che poi si sono rivelati giusti.

Arriva la grande squadra, il salto di qualità: cambia qualcosa nel loro atteggiamento?
Nella sostanza no. Cambia che con il Como giochiamo anche fuori regione, ci sono trasferte importanti. Mio padre mi accompagna sempre, insieme a un suo amico. Ma l’atteggiamento è sempre positivo e sereno. Ci teneva, certo, dopo le partite a volte mi diceva cosa secondo lui si poteva fare meglio, ma senza mai esagerare, anche quando mi elogiava.

Possiamo dire che i tuoi genitori hanno avuto un ruolo importante nella tua vita sportiva da ragazzo?
Assolutamente sì. Io credo che la famiglia sia il tassello più importante, poi l’allenatore, poi ovviamente la scuola, che non va sottovalutata. Io andavo abbastanza bene, senza eccellere: i miei non mi hanno mai punito, togliendo il calcio, come fanno alcuni genitori. È la punizione più stupida che ci sia.

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